C’è un’altra situazione che preoccupa e non poco l’INGV in Campania: è il Vesuvio. Non allo stesso modo della zona di Pozzuoli, ma non deve essere sottovalutato.
La pericolosità di questo vulcano è da secoli conosciuta e, molte volte, sono state effettuate prove di evacuazione di diversa maniera.
L’attenzione è posta anche su questo vulcano. Cosa sta esaminando ora l’INGV? Vediamo insieme.
L’INGV studia il Vesuvio
Una situazione che non si viveva da qualche tempo e che ora, in modo esponenziale, sembra aver fatto nuovamente il suo ingresso nella vita dei cittadini campani. Stiamo parlando del rischio di un’eruzione vulcanica che non deve essere, in maniera alcuna, sottovalutato. E non si tratta solo della zona dei Campi Flegrei.
Nella zona orientale della città è presente l’altro “pericolo” (se può essere così definito), ovvero il Vesuvio, strettamente collegato proprio ai Campi Flegrei e a tutti gli altri vulcani presenti nelle zone del Sud Italia. Fenomeni, quali i terremoti che si stanno avendo in queste ultime ore, non devono essere sottovalutati.
L’INGV sta analizzando, per quel che riguarda il Vesuvio, il pericolo che va anche al di là dell’esplosione stessa: quello delle colate di fango e lava che potrebbero venire a scatenarsi subito dopo l’esplosione. Un progetto ambizioso quello dell’INGV perché portato avanti da un team multidisciplinare che vede la collaborazione fra la Heriot-Watt University nel Regno Unito, l’Università di Pisa, l’Università di Torino e l’Università di Bari, insieme all’INGV stesso.
Lo studio si pone di capire “la pericolosità sulla Piana Campana delle possibili colate di fango causate dalla ri-mobilizzazione dei depositi di caduta e dei flussi piroclastici durante, o nei mesi immediatamente successivi, un’eruzione del Vesuvio simili a quelle sub-pliniane del 472 e del 1631 d.C” – scrive il documento dello studio stesso.
L’attenzione alle sue possibili colate di fango post eruzione
Un’attenzione particolare proprio su ciò che può venire ad originarsi dopo l’eruzione, ovvero il materiale che ne fuoriuscirebbe, quella miscela di frammenti vulcanici, fango e lava che andrebbe a riversarsi sulla piana nelle immediate vicinanze del vulcano stesso, con tutta la sua potenza distruttiva.
Questo fenomeno si chiama “Lahar” e può “indurre “cambiamenti significativi nel paesaggio, con impatti drammatici sulla popolazione e sulle infrastrutture” – spiegano dall’INGV. Un’area molto vasta che non si limita alla sola piana intorno al Vesuvio, ma che comprende anche la penisola sorrentina, l’Appennino e anche la zona dei Campi Flegrei.
Lo studio ha delle caratteristiche che gli permettono di essere diviso in tre step: il primo, quello più immediato, consiste nell’analisi dei dati di tutti i sedimenti che si sono avuti, nel corso delle diverse eruzioni che si sono avute nei secoli passati in 500 punti della zona della piana campana. A questo fanno seguito l’analisi delle caratteristiche di quelli che potrebbero essere i flussi di fango e la loro pericolosità. Il terzo punto, fin dove potranno spingersi e quanto potranno essere spesse.
Analisi necessarie quanto utili in una situazione quale quella che sta vivendo la Campania che non è da sottovalutare.