Sempre più infortuni in serie A e nei maggiori campionati europei. Addirittura il 13% dei giocatori del nostro massimo torneo è fermo ai box, in queste feste natalizie.
Il mercato di gennaio (di riparazione, ca va sans dire) è l’oasi cui tutti i club tendono, nel deserto delle infermerie stracolme: sarà interessante vedere come l’urgenza di molte squadre d’elite si concilierà con le casse sociali, come al solito semi-vuote.
Incerottati uber alles
Come detto, l’aspetto inquietante è tuttavia un altro, appunto le infermerie strapiene, con il numero e la qualità degli infortunati in continuo aumento: molti allenatori sostengono sia per “eccessivo stress” da calendario, con incontri sempre più ravvicinati ed intensi. Solo da noi, Sarri, Mourinho, Pioli, Mazzarri, etc. attaccano i peana, intonando il canto funebre delle occasioni perse, causa rose sempre più sguarnite.
Ma la serie A è in buona compagnia: in Premier, il torneo dell’intensità atletica per eccellenza, Ten Hag, Klopp, Pochettino, Kompany e Guardiola sono sul piede di guerra. Per il genio di Manchester (sponda City), “spetta proprio ai giocatori fare pressioni su FIFA e UEFA per dire basta e cambiare strada”.
Vero è che lo spettacolo, tanto auspicato da Ceferin ed Infantino, latita e non poco, quando le infermerie traboccano come la metro nell’ora di punta: a pochi giorni dalla diciottesima di campionato, l’incidenza degli acciacchi sul risultato sportivo, e di conseguenza sullo spettacolo, è ai massimi livelli.
Stress da milionari
Gli smutandati pallonari soffrono: in serie A il campionario delle sofferenze (muscolari) è praticamente completo; comprende gemelli, tendini, flessori (oh, quanto si flettono!), legamenti, crociati anteriori, malleoli, femorali, adduttori (quanto adducono, signora mia!), tendini d’Achille, polpacci, lombalgie, dolori ed affaticamenti diffusi. Squadra per squadra, l’elenco è sempre più allungato, come un interminabile tunnel, di cui si fatica a veder la luce: gli appiedati del momento sono stipati come sardine nelle medicherie.
Qualche nome? In ordine alfabetico abbiamo: Toloi, Palomino e Touré (Atalanta); Ndoye, Soumaoro e Karlsson (Bologna); Shomurodov e Rog (Cagliari); Pezzella, Caputo e Bereszynski (Empoli); Bonaventura, Dodô, Castrovilli, Nico Gonzalez (Fiorentina); Baez, Lirola, Oyono, Marchizza, Reinier e Kalaj (Frosinone); Messias e Retegui (Genoa); Lautaro, Dumfries, Cuadrado e Dimarco (Inter); Chiesa, Locatelli, Alex Sandro, Kean e De Sciglio (Juventus); Immobile, Luis Alberto e Romagnoli (Lazio); Almqvist e Dermaku (Lecce); Tomori, Thiaw, Pellegrino, Okafor, Pobega, Kalulu, Caldara e Musah (Milan); Carboni e Caprari (Monza); Lobotka, Natan, Lindstrøm e Olivera (Napoli); Aouar, Dybala, Smalling, Abraham e Kumbulla (Roma); Dia e Ochoa (Salernitana), Boloca, Obiang, Viña, Viti, Defrel e Alvarez (Sassuolo); Schuurs e Linetty (Torino); Zemura, Bijol, Brenner, Deulofeu, Semedo, Davis e Ebosse (Udinese); Serdar e Faraoni (Verona).
Infortunio mon amour
Fatti due conti, come detto, sono lontani dal campo ben 76 giocatori, (appunto il 13% dei tesserati). Pochi, molti? Di certo l’infortunio è diventato un compagno silenzioso e costante del calciatore moderno: allenatori, tifosi, presidenti (più gli agenti) sono ormai terrorizzati, al punto da considerare decisamente un successo, alla fine della partita, riportare i giocatori negli spogliatoi senza parcheggiarli in infermeria, fino a data da destinarsi.
Che sia una conseguenza più o meno diretta del nuovo calcio bulimico, delle partite spezzatino, continue, diuturne e sempre più sincopate, sembra non esserci dubbio: ai calciatori non resta che farsi la croce, sperando che non sia quella Rossa.