Una nuova biografia, scritta da Raffaele Ascheri, getta una luce diversa sulla figura dell’Illustre Leopardi Giacomo, poeta e pensatore da Recanati giunto fino a noi.
Una premessa è però d’obbligo: Ascheri, è studioso appassionato della vita e della poetica del Conte Giacomo; il suo saggio offre nuovi ed interessanti spunti critici, ed è una documentata ricostruzione degli aspetti più controversi dell’illustre recanatese.
Giacomino mon amour
Leopardi aveva una personalità complessa, ben diversa dall’immagine cucitagli addosso da una certa agiografia atona ed insipida, strumentalizzata in chiave marxista (vedasi il “Leopardi progressivo” di Cesare Luporini); oppure vedasi l’ultima declinazione critica (edulcorata al massimo grado) di Alessandro D’Avenia, che ne fa un’ “iconetta pop”, santino atto al grande pubblico, ignorante come un bue e con l’attenzione media del pesce rosso in boccia. Ad esempio, un dettaglio pruriginoso: l’igiene personale di Giacomino era ben scarsa, la sua alimentazione smodata, caramellosa; poche ore prima della morte, dopo un brodino di pollo, si “scofanò” due cartocci interi di confetti di Sulmona.
E la sua poetica? Un vero e proprio fiasco: non ci “campava” minimamente, rifiutava altri lavori (a detta sua troppo umili per un nobile), vivacchiava di elargizioni, pietendo denari da parenti e amici. Rifiutò una cattedra da insegnante, ad esempio, ed il suo esser “anticlericale” era più di facciata che altro: ben pronto ad abdicare ai suoi ideali, avrebbe barattato il tutto con un ruolo in Vaticano, all’ombra della Chiesa (ma il clima di Roma non gli aggradava neanche un po’).
Leopardi omofobo
Il poeta fu spesso ingrato con gli amici più stretti; non nominò mai Paolina Ranieri, che gli dedicò, negli ultimi anni, un’assistenza pressochè quotidiana, né al suo mentore Pietro Giordani, al punto che l’ex maestro, si espresse negativamente sull’umanità del recanatese: “Pare che il cuore non corrispondesse all’ingegno”.
Leopardi fu indi alquanto omofobo, dato che per lui l’omosessualità era “antinaturale”, oltre che misogino (chiamò “bestie femminine” le romane che non lo degnavano di uno sguardo); razzista al punto giusto (esaltò l’epopea dei conquistadores contro gli indios, razza inferiore), fu inoltre un nazionalista sfegatato (“Senza amor nazionale, non si dà virtù grande”): insomma un destrorso ante litteram.
Piccolo “saccentuzzo”
Certo il giudizio dei contemporanei non fu clemente col nostro Giacomo: da chi lo appellava “saccentuzzo” (inteso come spregiativo di saccente), fino ai più lividi, che lo appellavano come “gobbo fottuto” e “nano deforme”. Il suo genio assoluto fu accompagnato da umanissime debolezze: un intellettuale “assai livoroso” secondo Ascheri, con l’allure del raccomandato strafottente.
Ma ciò che lo caratterizzava in pieno, era l’assoluta mancanza del più minimo senso di autocritica: il recanatese era difatti acutissimo nel giudicare gli altri, eppur la lente da entomologo raramente si posava su sè stesso. Non ne avrebbe retto il giudizio.