Continua inarrestabile la protesta del mondo delle arti e dello spettacolo. Più passano i giorni più sono i lavoratori dello spettacolo che aderiscono.
Intanto la stagione televisiva è ufficialmente iniziata e tutti i set statunitensi sono bloccati.
Le ultime novità
Lo sciopero va avanti ad oltranza e non sembra finirà poi tanto presto. Questo, in estrema sintesi, quanto sta succedendo ad Hollywood dove imperversa ancora l’agitazione di attori e maestranze che, uniti, stanno reclamando i proprio diritti. Uniti ed agguerriti stanno protestando contro le grandi piattaforme di streaming (Disney+ e Netflix in primis). Il motivo del contendere (ne abbiamo parlato anche in un articolo che puoi trovare cliccando il link che abbiamo messo a fondo pagina) è l’iniqua distribuzione dei diritti residuali e quindi, detta in parole semplici, soldi che attori e maestranze dovrebbero ricevere ogni volta che un contenuto che appartiene loro viene visto.
E’ un argomento spinoso e di non facile soluzione. Perché se è molto facile rintracciare il numero di messe in onda di un prodotto quando si parla di canali televisivi, giacché le messe in onda sono programmate secondo un calendario specifico e per un periodo di tempo limitato. Con lo streaming invece, teoricamente, un contenuto è visibile a ripetizione per migliaia di volte prima che esca dal catalogo.
E se da un lato le rivendicazioni di Hollywood sono più che legittime (è sbagliato pensare che chiunque lavori ad Hollywood percepisca guadagni astronomici. Anzi! Solo il 5% degli attori guadagna molto bene. Tutti gli altri sono al limite della sopravvivenza) dall’altro sarebbe impossibile per le piattaforme corrispondere per ogni messa in onda una cifra a tutti coloro che a quel prodotto hanno preso parte.
Calma piatta sul fronte piattaforme
Le prime conseguenze tangibili dello sciopero si sono avvertite ai due poli opposti del mondo. La prima a patire è stata la Mostra del cinema di Venezia quasi totalmente orfana di celebrità e gli Emmy Awards che, da settembre, slittano a questo inverno. Dal canto loro le piattaforme continuano a non esporsi e, soprattutto, non si smuovono dalle loro posizioni. Non vogliono fornire i dati reali dei loro guadagni né fare accordi diversi da quelli proposti. Del resto alle piattaforme avere materiali nuovi da proporre interessa fino ad un certo punto.
Questo perché i loro cataloghi sono immensi e perché avere in catalogo titoli forti o grandi classici attira comunque gli utenti. Quindi cali di uso o di abbonamenti consistenti non ce ne sono stati. In ultimo: ad essere bloccate sono solo le produzioni statunitensi che afferiscono a determinate sigle sindacali e a determinate categorie. Il resto del mondo, Italia inclusa, sta continuando a lavorare e a sfornare contenuti.
Breve resoconto sulle cause della protesta QUI