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Professoressa da bocciare, 20 anni di assenze

Quando si dice “libertà di insegnamento”: 20 anni di lezioni virtuali, a distanza di sicurezza dalla scuola, e ben prima della pandemia.

Professoressa assente per 20 anni da scuola. photo web source

E’ paradossale la storia di una professoressa  di una scuola superiore di Chioggia, in provincia di Venezia.

Vent’anni da fantasma

A scuola era praticamente una presenza ectoplasmica, “marinava” la scuola meglio di un Franti (il bulletto del libro Cuore) qualsiasi: per i giudici della Cassazione era di un’ “inettitudine permanente e assoluta”. Un ventennio di assenze da zero in condotta, sbrego rosso sul registro, un buco nero che trascinava didattica e valutazioni nell’inedia di una nemesi stakanovista: la Suprema stigmatizzava la condotta della docente in modo incontrovertibile, definendola inadatta allo stesso insegnamento.  Ma come si è arrivati all’ultimo grado di giudizio, in questa storia vernacolare da provincia italica figlia dei filmetti di Pierino (col mitologico Alvaro Vitali)?

Il giudizio tranchant del Ministero, su quella docente alquanto sui generis, era stato impugnato in sede amministrativa: evidentemente la professoressa dissentiva sulla sua perenne assenza, la latitanza professionale non era poi vizio sì grave. Del resto ci son ben più ponderose vicende, ad occupare la pubblica opinione, eppure. Eppure gli Ermellini, dopo un primo grado favorevole alla donna, confermavano la sentenza d’appello, destituendo de facto et de iure la professoressa da ogni incarico e ruolo.

Scuola maestra di vita?

Il licenziamento della nostra prof. non sarebbe stato causato dalla sola “fumosa” presenza (rectius, assenza), ma anche dalla condotta “deontologica” della stessa, con lezioni a dir poco lacunose, non chiare ed ancor meno partecipate (in primis, dalla stessa docente): in una parola “incompatibili” con lo stesso insegnamento, o con qualcosa che perlomeno gli si avvicini un minimo. L’inizio dell’ iperbole assenteista risale al 2013, quando il comportamento della donna attira l’attenzione del Miur: tre ispettori vengono inviati, ad osservare il metodo (originale) della professoressa.

Il giudizio, invero, è da manuale della buona scuola (si fa per dire): assenza di un filo logico, spiegazioni contraddittorie, poco chiare ed insufficienti, riproposizione delle stesse frasi utilizzate nel testo (preso in prestito dall’alunno di turno, dato che la prof. pare ne fosse sprovvista); per di più i voti sarebbero stati attribuiti in modo “estemporaneo ed umorale”, seguendo una disorganizzazione quasi scientifica del lavoro didattico.

La professoressa di Chioggia.
photo web source

Scrutinio finale

La donna, bisogna riconoscerlo, ha mostrato la massima coerenza durante tutto l’iter giudiziario, rivendicando la piena libertà di insegnamento, con applicazione pratica di un metodo molto particolare (e di certa efficacia): l’assenza perdurante del docente, onde abituare i discenti allo studio in piena autonomia. Peccato soltanto che i giudici non le abbiano creduto, sostenendo che la libertà alla base dell’insegnamento non possa esser scambiata con l’assenza totale di metodo ed organizzazione, dato che l’insegnante non può  “non attuare alcun metodo” o che lo stesso non sia tenuto sempre e comunque a “strutturare le lezioni”. Scuola maestra di vita, è il caso di dire.                                        Ovviamente quando la prof. è almeno presente.

Published by
Marco Catizone