Il Cav. è morto, viva il Cav.! Una storia bigger than life: Silvio Berlusconi ha cambiato senza alcun dubbio il dna del Belpaese.
L’uomo di gomma (come lo definiva Eugenio Scalfari) is dead. Ricoverato nuovamente e a stretto giro al San Raffaele, i suoi 86 anni non hanno più retto.
Il Cavaliere, Mister B., il Caimano, Nanoleone da Arcore: quanti gli alias, gli epiteti, di una maschera atellanna, da commedia all’italiana, sfuggito da un copione di Age e Scarpelli, per la mano d’un Monicelli in vena di sberleffo e parossismo. E quante vite, condensate in un sol uomo: imprenditore, editore, padrone di Mediaset, patron del Milan (poi del Monza), politico e Premier, amante delle donne e dello sfarzo.
E quante le ombre, dagli intrecci fumosi: dalla Milano da bere anni ’80, targata Craxi, che dall’Inghilterra, nell’ ’84, si scapicollò in Parlamento per approvargli un decreto ad personam (il primo di una lunga serie), quando le preture gli oscurarono i canali tv; ai contatti con Cosa Nostra, tramite Vittorio Mangano (dei c.d. “Porta Nuova”, a Palermo), che fu stalliere a Villa San Martino, e Marcello Dell’Utri, suo braccio destro e tramite indiscusso con le famiglie siciliane.
A tacer degli anni da Premier, i “lodi” ad personam, gli scontri con la magistratura (25 anni di processi, una condanna definitiva per frode nel procedimento Mediaset), gli editti bulgari, le miriadi di olgettine, starlettes, divette: e poi i figli, cinque, Marina e Piersilvio, i tre più giovani (Barbara, Eleonora, Luigi), due ex mogli, una ex compagna, un’altra (Fascina) in pectore; e l’Impero, la galassia berlusconiana da tramandare e (non) disperdere. Un’Italia ormai, definitivamente, orfana del suo monarca occulto: e chissà come si reinventerà, il Belpaese, come saremo tutti noi, senza Silvio.
“Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”: a citar il Signor G. (Giorgio Gaber), l‘animus pervasivo del fu Silvio ha permeato la dorsale italica, fin al midollo; gli ultimi decenni sono stati monopolizzati dal berlusconismo, dall’irrefrenabile edonismo autoreferenziale anni ottanta, annacquato a veline e vacue divette, politicamente camaleontico, da self-made-man che ce l’ha fatta da solo, con l’aiutino, però, di tanti amici (e degli amici degli amici).
Berlusconi è stato il totem del situazionismo a convenienza, del prendi-tutto-e-paghi-mai, della comunicazione plastificata e pervasiva: mai persuasore occulto, il suo cerusico sorriso smaltato a biancolatte era stampato ovunque, rifulgendo ad ogni spot, da giornali, tv, cartellonistica, perfino a domicilio, quando spedì al popolo italico la sua grandiosa e (trashissima)“Una Storia Italiana”. Il suo ego, smisurato più del portafoglio, è stata la sua forza indomabile, il suo limite invalicabile.
Amato, odiato, imitato, divisivo più che mai. Berlusconi è stato specchio e calamita, amplificatore deformante: ha riflesso il costume e l’indole italica, attirando gli strali ed i fasti del destino; dai girotondi morettiani, ai 36 processi della Procura di Milano, alla (blandissima, retorica e mai determinante) opposizione politicante della Sinistra orfana di sé stessa: il suo essere ha pervaso e plasmato il mondo, a sua immagine e deformazione.
Perchè tutti, nel nostro piccolo, abbiamo voluto parcellizzarlo, avere una qualche sua promanazione, influsso, effluvio: essere, in una parola, forse anche solo per un momento, Silvio Berlusconi. Riposa pure, scendi dalla sella, Cavaliere: il tuo ronzino s’è fermato, stanco, slabbrato, emaciato, davanti alle porte del tuo fausto e maestoso, seppur ambiguo, monumento a te stesso.