A stilare un decalogo delle fiere a carrozzone in ambito locale, vien fuori come Sindaci e Governatori siano sponsor politicanti per agenzie turistiche e pro-loco provinciali.
Lo Stivale è la patria delle sagre paesane: ogni campanile, una porchetta (o giù di lì).
E pare proprio che la regola aurea, per attirar genti “de lo munno intiero”, sia imbastir tavolate cubiche di cibarie e vivande a chilometro zero: perché l’enogastronomia è scienza popolare, elevata ad unico emblema, egida sotto cui riparare la pochezza culturale degli assessorati comunali.
Il motto personale d’ogni assessore che si rispetti pare essere allora quello di “giammai proporre mostre d’arte che strizzino i perpendicoli” (per dirla alla De Luca, il Vicerè della Campania): perchè la Cultura, si sa, ammoscia il turista, sgonfia il gonfalone, atterrisce il cittadino, che vuole (fortissimamente vuole) ingozzarsi di salsiccia, taralli e birra, unica dote a riempirne il vuoto (stomacale di sicuro).
Ma il buon De Luca non è il solo ad aborrire la “Kultura”, preferendo il vinello genuino, il panuozzo fatto in casa, rispetto ad un libro a vernissage: è in buona compagnia, dato che non v’è angolo del Belpaese che non ribolla di festival autoprodotti, eventi tipici e sagre luculliane. Dalla Puglia alle Dolomiti, dall’agro romano alle langhe piemontesi, è tutto un susseguirsi di “attrattori culturali” per acchiappare il turista in infradito, bollito dai fumi alcolici dell’ennesimo calice ingollato, spacciandogli la paccottiglia para-culturale, per vera etnologia primigena: il folclore scambiato per l’anima del popolo.
Un esempio? Il made in Italy dei Bronzi di Riace, la calabra proiezione della greca essenza, già esaltati come “feticci culturali”, sfruttati per reclame e spottini demenziali, per finire alle feste etiliche della birretta locale (“Gli sbronzi di Riace”), fino al modello di bambolone erotico made in Japan, con le fattezze dei poveri Bronzi.
Ma siamo davvero certi che così almanaccando, tuteliamo al meglio il nostro bene supremo, quella cultura ellenistica, romana e indi rinascimentale che dell’Italia sono vanto nel mondo? Che sia questa l’unica via per salvaguardare i nostri tesori? Siamo la patria preferita dall’Unesco, eppure troppo spesso sviliamo la nostra ricchezza, allestendo generiche rappresentazioni paesane, per la maggior parte sagre infinite e ridondanti, allungate a brodaglia pseudo-culturale.
Un fenomeno non solo italico, beninteso, ma lasciamo i festival a culture altre, men ricche e dignitose: col tesoretto archeologico, storico, autoriale, immaginifico che possiede il nostro Paese, evitiamo di annacquare il nostro brand internazionale, non rivestiamo la tradizione di kitch a paccottiglia. Rischiamo di trovarci col Colosseo in cartongesso alle spalle, sorseggiando uno spritz in mutandoni e ciavatte, mentre scattiamo un selfie al grido di “Pizzaaaaaa!”, tendendo poi l’orecchio al melodico mandolino.