I numeri della catastrofe in Emilia-Romagna sono allarmanti, con quasi cento Comuni coinvolti.
L’alluvione che ha colpito la Regione ha fatto già più danni del terremoto del 2012.
Sono più di 36mila le persone evacuate, costrette in un battito di ciglia a lasciare le proprie abitazioni, trascinandosi dietro sconforto, paura e le poche cose che si riusciti a salvare dalla furia dell’acqua: si pensa al presente, a trovare un ricetto per la notte, chi ospite di parenti o amici, chi in fila per entrare in centro di pubblica accoglienza allestito dalla Protezione Civile.
Situazione sconvolgente, tanto che il Presidente del Consiglio Meloni è costretta a lasciare il vertice del G7 , anticipando il ritorno in Italia dal Giappone. I numeri del resto sono impressionanti: più di 500 le strade già chiuse al transito perchè allagate o invase da fango e materiale di risulta; oltre 300 le frane censite dai soccorritori, per non parlare degli allagamenti di edifici pubblici e private abitazioni, impossibili da calcolare.
Territorio quasi insulare, con acquitrini e paludi spuntati dove prima c’erano strade e campi coltivati: tutta l’area del bolognese è sommersa, dal capoluogo fino al mare: la pianura è praticamente una immensa risaia d’acqua grigia e stagnante; le colline e le zone di montagna sono preda di frane e continui smottamenti. Permane l’allerta meteo rossa, ma prima o poi passerà, lasciando una terra devastata, una lunga scia di interrogativi ed un presente da reinventare: le piene sono in esaurimento, adesso si temono proprio le frane.
Sono 14 le vittime accertate, ed un’altra tragedia si è sfiorata, quando un elicottero dell’Enel è precipitato in quel di Ravenna, con un bilancio di 4 persone ferite, trasportate d’urgenza nei nosocomi più vicini. Già, perchè l’emergenza si è spostata da queste parti, come un drago di fango indomabile i fiumi rompono gli argini, i canali sono straripati , mostrando una furia distruttiva a dir poco impensabile fino a qualche giorno addietro.
La periferia ravennate sembra una distesa immobile di lutulenta mota: qui la parola d’ordine è salvare il cuore della città, Ravenna non deve finire sommersa. Il corso Canala, ingolfato d’acqua reflua pareva inarrestabile: per impedire il peggio, gli agricoltori della zona si sono sacrificati, allagando i campi non ancora sommersi, per impedire che la massa d’acqua straripasse, inondando i basoli del centro. Adesso le coltivazioni stagnano, le radici soffocate, ma è un prezzo che i coltivatori vogliono pagare, per salvare la città dei mosaici.
Le idrovore più a valle da sole non bastano più a ridurre la portata dei canali rigonfi, l’unica soluzione per salvare la città era allagare i campi coltivati: sembra di essere in zona di guerra, con sacchi di sabbia, trincee scavate a mani nude, picconi e pale, escavatori e lampeggianti, gommoni e jeep dalle ruote artigliate: l’acqua, colore d’argilla brumosa, fa ancora paura in quel di Ravenna.