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Rigopiano, la rabbia dei parenti delle vittime dopo l’ultima sentenza

Davvero c’era la possibilità di evitare la drammatica tragedia che nel 2017 ha segnato la cittadina di Rigopiano? Più che una domanda sembra una certezza per i tanti parenti delle vittime che ora gridano vendetta a cospetto del cielo, e di fronte alla sentenza ancora mancante nei confronti dei colpevoli. 

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Tutto riporta a due anni dopo il drammatico crollo dell’hotel che il 18 gennaio 2017 aveva provocato la morte di 29 persone, quando il programma Le Iene mandò in onda un’inchiesta raggelante in cui si metteva in luce che alcune telefonate avrebbero potuto portare a un intervento immediato da parte dei soccorsi, che però non c’è stato. L’origine del lavoro giornalistico del programma di Mediaset riporta ad alcune segnalazioni giunte in prefettura diverse ora prima la valanga che investì la struttura, al cui interno rimasero intrappolate 40 persone, per colpa dell’inagibilità delle strade che rese impossibile la loro fuga.

La ricostruzione della vicenda

Il volontario che aveva risposto a uno degli appelli del cameriere dell’hotel Gabriele D’Angelo, Matteo Di Domenico, spiegò di avere girato la segnalazione al Comune che a sua volta gli indicò di telefonare in prefettura. Dopo la prima chiamata, però, nessuno gli rispose. La prima conversazione avvenne solo 25 minuti più tardi, quando però venne nuovamente rimbalzato. Gli venne infatti detto che della questione non se ne occupavano loro, e girarono la chiamata alla provincia.

L’ingegner Verna, a quel punto, spiegò di essersi messo a disposizione e che gli venne ordinato finalmente, dal suo comandante, di recarsi sul posto. Tuttavia, restano ancora dubbi e domanda inevase, a cui l’ingegnere non ha fornito risposta. Così ancora oggi, a sei anni dalla tragedia e precisamente giovedì 23 febbraio, si è concluso il processo di primo grado.

L’esito della sentenza che assolve gran parte degli imputati

Risultato: tre condanne e 27 assoluzioni. Due anni e otto mesi per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, oltre a tre anni e quattro mesi a Paolo D’Incecco e a Mauro Di Blasio, entrambi funzionari della Provincia di Pescara. Il resto, la maggioranza degli imputati, è stata assolta. La sentenza, così, ha creato non poco scompiglio in aula tra i parenti delle vittime, che hanno cominciato a inveire contro la sentenza al grido di “Vergogna. Assassini, venduti, fate schifo”.

La rabbia dei parenti delle vittime e di un sopravvissuto, dopo la sentenza del tribunale, è insomma palpabile, e alcuni arrivato anche alle minacce rivolte al giudice, come nel caso del 39enne Giampaolo Matrone, di Monterotondo, poi allontanato dall’aula dalle forze dell’ordine. L’uomo perse la moglie Valentina Cicioni, infermiera al Gemelli, sotto la valanga. Altri parenti delle vittime sono stati trattenuti a stento dalle forze dell’ordine.​

La rabbia dei parenti delle vittime dei superstiti

“Questi qui hanno una discarica al posto del cuore! Speriamo nell’appello, ma se questo è l’andazzo non spero più niente, devo solo salvagardare la mia vita per portare avanti il nome di mia figlia”, dice il padre di Jessica Tinari, morta a 24 anni insieme al fidanzato Marco Tanda. “Noi pretendiamo rispetto dalle istituzioni, paghiamo con le nostre tasse i loro lauti stipendi e questi delinquenti ci trattano in questo modo. Meglio che stia zitto, sennò non so cosa posso dire”.

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Così molti altri. Francesco D’Angelo, fratello di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’hotel, morto nel crollo, l’uomo che cinque ore prima della valanga chiamò il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere di liberare la strada e consentire in questo modo a coloro che erano presenti all’interno  dell’hotel di lasciare la struttura, grida: “Sei anni buttati qua dentro! Per fare che? Tutti assolti, il fatto non sussiste! Quattro minuti di chiamata! Chi ha chiamato mio fratello? Chi ha chiamato?”.

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Francesco